26 Apr 2024

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Cristiani, ebrei e ortodossi: un’unica Pasqua?

La Pasqua è la festa più importante della vita di tutti i cristiani. Essa, tuttavia, assume un’importanza speciale non solo per loro.

Per capire la storia della nascita e della celebrazione della Pasqua, professata dalle più grandi religioni monoteiste, il Cristianesimo e l’Ebraismo, dobbiamo fare un salto nella storia.

La Pasqua cristiana glorifica il sacrificio del figlio di Dio, Gesù di Nazareth che, dopo essere stato crocifisso, risorge per liberare gli uomini dal peccato originale.

La Pasqua ebraica festeggia, invece, la liberazione del popolo giudeo dalla schiavitù egiziana.
Per porre termine ad ogni controversia nata dalla confusione dei festeggiamenti, il Concilio di Nicea, nel 325 d.C., stabilì che la Pasqua fosse celebrata la prima domenica dopo la luna piena, che seguiva l’equinozio di primavera. In seguito, nel 525 d.C., si decise di far cadere questa data tra il 22 marzo e il 25 aprile.

La Pasqua cristiana è preceduta dalla Quaresima, un periodo di penitenza di quaranta giorni, che va dal mercoledì delle Ceneri, al Sabato Santo.

Nella domenica seguente, la Domenica delle Palme, si ricorda l’arrivo del Messia in Gerusalemme e l’inizio della sua Passione. E’ così che comincia la Settimana Santa, durante la quale hanno luogo momenti liturgici precisi.

Dal lunedì al mercoledì è il tempo della Riconciliazione; la sera del giovedì Santo la Messa ricorda l’Ultima Cena di Gesù, alla quale segue la processione al “sepolcro”: le ostie, che saranno utilizzate nella celebrazione del venerdì santo, vengono portate in un tabernacolo, il sepolcro appunto, per essere adorate dai fedeli.

Il venerdì Santo è, invece, il giorno della contemplazione della passione di Gesù: una suggestiva Via Crucis figurata ripercorre l’ultimo giorno di vita del Figlio di Dio. Questa giornata è, per tutti i fedeli, dedicata al digiuno.

Il sabato Santo è un giorno di riflessione e preghiera silenziosa. Poi, durante la notte tra il sabato e la domenica, si svolge la Veglia Pasquale, durante la quale si leggono le promesse di Dio al suo popolo. Questa notte è scandita da quattro momenti: la Liturgia della luce (benedizione del fuoco, preparazione del cero, processione, annunzio pasquale); la Liturgia della Parola (nove letture); la Liturgia Battesimale (canto delle Litanie dei Santi, Preghiera di benedizione dell’acqua battesimale, con la celebrazione di eventuali Battesimi); la Liturgia Eucaristica.

A compimento di questo grande percorso di redenzione, la Domenica di Pasqua si festeggia finalmente la resurrezione del Redentore.
Durante il pranzo si mangia l’agnello, simbolo sacrificale per eccellenza e figura di Cristo. E’ in questo simbolo che si cela l’intreccio più profondo tra Cristianesimo ed Ebraismo.

Le origini della Pesach, la Pasqua ebraica, risalgono, probabilmente, alla festa pastorale che veniva praticata nel Vicino Oriente dai popoli nomadi, per ringraziare Dio. Tali festeggiamenti erano legati anche alla “festa del pane non lievitato”, il mazzot. Dopo la liberazione del popolo ebraico, fuggito dall’Egitto sotto la guida di Mosè, la Pasqua ebraica assunse un diverso significato.

La Pesach dura otto giorni e celebra questo momento centrale della storia del popolo israeliano.
Secondo la tradizione, un agnello viene immolato il giorno prima della Pèsach e, nonostante sin dal Concilio di Nicea, le date della celebrazione pasquale ebraica e cristiana non coincidano, secondo il Vangelo di Giovanni sembra che il giorno della morte di Gesù, corrisponda proprio a quello in cui si immolava l’agnello.

Il rito dell’agnello è volto a ricordare un importante episodio dell’Antico Testamento: Dio, dopo aver annunciato a Mosé e Aronne la liberazione del popolo di Israele dalla schiavitù in Egitto, ordinò che tutte le famiglie israeliane si procurassero un agnello per marcare con il suo sangue gli stipiti delle porte ed evitare così il terribile castigo che aspettava i primogeniti d’Egitto, ovvero la morte.
Ancora oggi la Pasqua ebraica è celebrata seguendo antichi riti.
La celebrazione coinvolge tutti i familiari con la lettura dell’Haggadà, il libro della leggenda. In questo periodo sono banditi i cibi lievitati e per questo si mangia esclusivamente il pane azzimo. La tavola, durante la festa, è ricca di cibi simbolici: le erbe amare, che ricordano la sofferenza del popolo ebraico, il pane azzimo, l’agnello arrostito intero, le erbe rosse e un uovo, simboleggia di lutto, ma anche di rinascita.

Anche per gli ortodossi, la Pasqua è una festa speciale.
Per la sue celebrazione, la chiesa ortodossa segue il calendario giuliano e non quello gregoriano, anche se a volte le due festività cadono nello stesso giorno.

Anche la Pasqua degli ortodossi vive di momenti speciali. Nella lunga quaresima, molti fedeli non toccano carne, uova, latticini o alcol. Tutto il periodo quaresimale è, infatti, un periodo di preghiera, di pulizia del corpo e dell’anima, mentre l’ultima settimana è anche di lutto: non a caso, durante questo periodo, in alcuni paesi di culto ortodosso (per esempio la Romania) si svolgono messe uniche come quella dei 12 vangeli, la messa di requiem e la deposizione alla tomba.

La sera prima della Pasqua vengono accesi grandi falò a memoria di antichi riti di purificazione e si attende la mezzanotte. Nelle chiese si spengono le luci e, al termine di una processione, il pope (sacerdote) bussa tre volte alla porta maggiore della chiesa, annunciando la resurrezione di Cristo.

I fedeli sono invitati a passarsi una candela accesa, instaurando così una sorta di legame spirituale tra loro: si dice che quelli che tra loro riusciranno a tenere sempre accesa la luce ricevuta in chiesa, fino all’arrivo a casa, avranno un anno benedetto.
Dopo il rituale iniziale, il prete si rivolge ai fedeli con le parole “Cristo è risorto!”, alle quali deve seguire la frase “Davvero è risorto!”.
Dopo la messa viene distribuito il pane santo inzzuppato nel vino, simbolo del corpo e del sangue di Cristo, e delle uova sode colorate, da scambiare come augurio tra familiari e conoscenti.

In fondo, possono cambiare riti e appuntamenti, ma i significati spirituali di queste celebrazioni sono meno diversi di quanto si possa pensare…e le distanze tra i popoli e i culti si annullano di colpo.

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Antonio Verardi
Antonio Verardi
Storico dell’Arte. Ha collaborato con il Museo Pecci di Prato. Ha svolto attività di ricerca per la Facoltà di Lettere e Architettura. E’ docente di letteratura italiana, storia e storia dell’arte. Perito ed esperto per la Camera di Commercio di Bari è iscritto all’Ordine Nazionale dei Giornalisti dal maggio 2011.

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