È una protesta sempre più accesa quella che attraversa Rocchetta Sant’Antonio in questi giorni. I cittadini sono sul piede di guerra contro i lavori di rifacimento della scalinata della Chiesa Madre, finanziati con fondi PNRR Borghi, che dovevano restituire accessibilità e decoro al cuore del paese, ma che secondo molti stanno invece producendo un risultato “fuori luogo, sproporzionato e lesivo del valore storico” dell’area.
La nuova scala, dal design moderno e architettonicamente ardito, si inserisce infatti tra due dei simboli più rappresentativi del borgo: la Chiesa Madre e il Sedile del Cinquecento, due scrigni di memoria e identità locale. “Un contrasto inaccettabile – denunciano i cittadini – che trasforma uno dei luoghi più belli e fotografati di Rocchetta in un ibrido senza armonia.”
Per chiedere lo stop ai lavori, sono state raccolte oltre 250 firme, ma la petizione è rimasta lettera morta. L’amministrazione comunale ha scelto di procedere, ignorando l’appello della popolazione e continuando a dare pieno mandato ai progettisti.
A indignare ulteriormente la cittadinanza è ora anche il modo in cui il Comune si difende dalle critiche, sostenendo che l’opera sia “avallata” dalla Soprintendenza ai Beni Architettonici e Paesaggistici. È vero, il parere della Soprintendenza è stato positivo, ma ciò che si omette di dire è che quel parere è arrivato solo dopo la presentazione del progetto da parte dell’amministrazione. Non è stata la Soprintendenza a proporre o suggerire la soluzione, ma semplicemente a esprimersi su un progetto già deciso dal Comune. Oggi invece si vuole far credere l’opposto, nascondendosi dietro un via libera che, in realtà, è la conseguenza e non la causa dell’intervento.
Con il cantiere ormai a buon punto, la situazione appare persino peggiore di quanto mostrato nei render del progetto: “La scala reale è ancora più impattante, rompe le proporzioni, toglie respiro alla facciata della chiesa e cancella la percezione originaria dello spazio,” si legge in uno dei tanti commenti che affollano i social, dove le foto del cantiere stanno alimentando un’ondata di sdegno e discussioni accese.
“Non siamo contrari all’accessibilità per i disabili – dicono gli abitanti – , ma in nome dell’inclusione non si può sacrificare l’identità di un intero paese. Esistono soluzioni più rispettose del contesto, frutto di confronto e partecipazione, non di imposizione”.
Quello che più brucia, però, è proprio la mancanza di ascolto: Non si può decidere del volto del nostro centro storico senza coinvolgere la comunità. Questa è la casa di tutti, non il terreno di sperimentazione di pochi.
Ora, a lavori in corso, la popolazione chiede trasparenza, documenti e responsabilità. Chiede di sapere chi ha approvato cosa, con quali criteri e in base a quali valutazioni. Perché ciò che doveva essere un intervento di valorizzazione rischia di diventare un caso emblematico di cattiva gestione dei fondi PNRR nei piccoli borghi, dove spesso mancano confronto, progettazione condivisa e rispetto per il patrimonio storico.
Rocchetta non è un cantiere di prova per l’architettura contemporanea ma un borgo d’arte, di storia e di memoria. Difendere la sua identità non significa essere contro il progresso, ma ricordare che il futuro si costruisce solo sulle proprie radici.















