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Un fungo sembra la risposta contro il diffondersi di Xylella fastidiosa: attaccherebbe la sputacchina, il vettore attraverso il quale il batterio si sta incessantemente propagando tra gli ulivi pugliesi. Questa tesi è confermata dai dati preliminari presentati all’inizio di questa settimana in occasione della prima riunione italiana dei partner del progetto LIFE Resilience, finanziato dall’Unione Europea. Abbiamo chiesto a Claudio Cantini, referente scientifico del progetto per il CNR-IVALSA, l’Istituto per la Valorizzazione del Legno e delle Specie Arboree, ora parte dell’Istituto di Bioeconomia del Consiglio Nazionale delle Ricerche, di spiegarci il percorso che lo ha portato a questi primi risultati.
Il progetto LIFE Resilience e l’idea di una prima sperimentazione
LIFE Resilience ha come obiettivo la ricerca di soluzioni sostenibili che diminuiscano la capacità di propagazione di Xylella fastidiosa in piantagioni intensive di oliveti e mandorleti. Se da un lato il lavoro si concentrerà sulla realizzazione di varietà resistenti al batterio, dall’altro si vuole dimostrare che pratiche di coltivazione sostenibili, tra cui metodi naturali di controllo dei vettori, possano aiutare a prevenire la diffusione del batterio. È da qui che partono le sperimentazioni preliminari effettuate dal dottor Cantini: “Il progetto prevede di individuare quelle che possono essere delle tecniche agronomiche per ‘irrobustire’ la pianta o comunque generare nell’ambiente un sistema che sia meno attaccabile da eventuali malattie, tra cui la Xylella. Ecco perché si fa riferimento alla resilienza. Nell’ambito di queste attività era previsto già da quest’anno – il progetto durerà 3 anni – di iniziare a studiare la situazione. Nello specifico a primavera ho cominciato a valutare il carico delle forme giovanili di sputacchina (numero di forma giovanili di Philaenus spumarius per metro quadro) che erano presenti all’interno degli oliveti a nostra disposizione. Ho registrato delle differenze enormi nel carico della sputacchina sui terreni in funzione delle zone, anche a poca distanza l’una dall’altra. Per non perdere quest’anno di sperimentazione ho quindi pensato che sarebbe stato interessante provare dei trattamenti con qualche prodotto consentito in agricoltura biologica, di cui si trovavano informazioni in bibliografia e con cui, però, non erano ancora stati effettuati test”.
La raccolta dei dati preliminari e la scoperta dell’azione anti-sputacchina del fungo
Cantini ha, quindi, spiegato come è stata svolta questa primissima fase di ricerca: “Prima di tutto ho studiato ciò che era stato fatto in Puglia. Ero già venuto a visitare il vostro territorio, con la guida dell’ispettorato dell’agricoltura di Lecce, e mi sono confrontato con alcuni colleghi pugliesi tra cui Donato Boscia e Maria Saponari dell’Istituto per la Protezione Sostenibile delle Piante del CNR di Bari. Dopo aver capito cosa era stato già provato per contrastare la sputacchina, ho testato a mia volta una serie di prodotti, tra i quali uno commerciale, in cui c’era questo fungo, Beauveria bassiana, che sembra agire su alcuni insetti. Inoltre, sempre consultando con attenzione la bibliografia, ho letto che questo particolare prodotto, per essere efficace, aveva bisogno di un ambiente umido: cosa c’è di più umido di una schiuma come quella della sputacchina? Mi sono detto che poteva funzionare. Tra le altre prove, c’è stata anche quella con un piretroide (una classe di insetticidi di sintesi), che sembrava essere stato efficace in Puglia”.
Quali sono stati i dati preliminari, i risultati di queste prime prove? “Questo doveva essere un lavoro preliminare per non perdere l’anno e ricavare qualche informazione per le prossime fasi del progetto. Invece abbiamo raggiunto qualcosa in più: abbiamo osservato che i trattamenti con il fungo avevano avuto un effetto superiore anche a quelli con il piretro. A questo punto ho contattato una collega entomologa dell’Università di Firenze e insieme stiamo preparando una pubblicazione scientifica, una short communication, per una rivista che si occupa di difesa biologica delle colture. È un modo per avvertire, informare che, con questa prova preliminare, noi ci siamo resi conto che probabilmente questo prodotto potrebbe dare una mano. Divulgare questi dati potrebbe aprire la strada a ulteriori verifiche da parte di enti di ricerca, aziende o altre istituzioni”.
Risultati in accordo con le recenti strategie suggerite dall’EFSA
L’EFSA, European Food Safety Authority, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, ha diffuso a fine aprile un documento riassuntivo sulle informazioni raccolte sino a ora riguardanti la biologia e il controllo dei vettori di Xylella fastidiosa. In queste pagine si parla anche dell’effetto della presenza di funghi parassiti sulle popolazioni di sputacchina: “All’interno del report si fa un piccolo riferimento al fatto che sono state trovate sputacchine morte per l’attacco di un fungo, proprio Beauveria bassiana. Si ipotizza in un certo qual modo che l’impiego di questi organismi potrebbe essere una strategia utilizzabile”.
Cantini ha, inoltre, evidenziato che i trattamenti debbano essere facilmente riproducibili dagli agricoltori: “Nell’ambito del progetto europeo LIFE è previsto che si diano indicazioni agli agricoltori. Per esempio, consigliare una sfalciatura al momento più opportuno, quando l’erba e la sputacchina sono in un determinato stadio del loro ciclo vitale, oppure appunto, consigliare un prodotto già in commercio da impiegare dove è difficile trinciare, ossia sulle sponde, nella zona interna dell’oliveto. È importante divulgare questo tipo di soluzioni proprio alla luce di quanto scritto nel testo dell’EFSA, in cui si dice che sarà difficile fermare completamente la Xylella e quindi sarà necessario stare molto attenti ai monitoraggi delle piante e soprattutto ai monitoraggi e alla riduzione della popolazione degli insetti”.
Le prossime fasi del progetto
Dopo la diffusione di questi dati preliminari, della possibilità di combattere Philaenus spumarius con un fungo giù utilizzato in agricoltura biologica, quali saranno i prossimi passi? Claudio Cantini ha spiegato: “Abbiamo a disposizione alcuni oliveti su cui sperimentare le strategie utilizzabili: ce n’è uno vicino a Marina di Pisa – 75 ettari di oliveto messo in piano -, poi quello dove ho svolto le prime sperimentazioni, all’interno del CNR di Follonica, e infine un oliveto della varietà Arbequina, super intensivo, simile a quelli spagnoli. I primi due sono tradizionali, molto simili a quelli pugliesi. Suddividendo le aree a nostra disposizione confronteremo le tecniche agricole già utilizzate con inerbimenti con specie vegetali in cui la sputacchina cresce meno, zone in cui procederemo con un trattamento per irrobustire la pianta e altre in cui agiremo contro le larve dell’insetto. Inoltre abbiamo acquistato da poco una termocamera con cui prevediamo di iniziare una serie di monitoraggi non appena avremo messo a punto la procedura di raccolta dati: in una ricerca pubblicata lo scorso anno è riportato che attraverso le immagini registrate da una telecamera nel vicino infrarosso è possibile capire se una pianta è malata ancora prima che manifesti i sintomi. Speriamo di riuscire a partire con i monitoraggi per il prossimo anno. Ecco che noi facciamo esattamente ciò che richiede l’EFSA: cercare modi per monitorare i nostri ambienti, trovare dei sistemi agronomici che possano andare a limitare la presenza di sputacchina e che vadano a potenziare la resilienza del terreno e della pianta. Questo è il nostro progetto”.




















