06 Nov 2025

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La battaglia navale di Manfredonia: quando un “Turbine” spaventò gli austriaci

La Grande Guerra, sul fronte italiano, ebbe inizio in Puglia: nelle acque davanti al litorale foggiano.

Alla vigilia del nostro ingresso nel conflitto, l’ammiraglio Haus, comandante supremo della Marina Austriaca, aveva emanato il seguente ordine:«Danneggiare di sorpresa il nuovo avversario, applicando un sensibile colpo alla sua forza morale».

A questo scopo, all’indomani della nostra dichiarazione di guerra, la Marina asburgica bombardò subito diversi obiettivi “militari” della nostra costa adriatica, con l’impiego di tutte le forze presenti nelle acque italiane.

La maggior parte di questi obiettivi si rivelarono soltanto piccole città indifese. Come Barletta.

Alle 04.00 del 24 maggio 1915, il nostro primo giorno di guerra, dal porto di Barletta fu avvistata una nave all’orizzonte. La nave, nonostante le ripetute richieste di identificazione tramite radiotelegrafo, mantenne il silenzio radio, finché, giunta a breve distanza dalla costa, venne riconosciuta: era l’incrociatore austriaco Helgoland, 3500 tonnellate di stazza e nove cannoni a bordo.

L’incrociatore virò in direzione della imboccatura del porto e aprì il fuoco: vennero colpiti prima alcuni vagoni ferroviari della vicina stazione, poi il centro abitato della città e le mura del castello svevo, dove si trovava un distaccamento di fanti e bersaglieri.

Dal porto vennero inviate diverse richieste di aiuto, ma i più veloci a raccoglierle furono i marinai dell’equipaggio del cacciatorpediniere Turbine (300 tonnellate di stazza e 4 cannoni da 76 mm a bordo), in navigazione a breve distanza da Barletta.

Il Turbine era una nave veloce, sebbene inferiore, nelle dimensioni e nell’armamento, a quella austriaca. Il suo comandante, il capitano di origini genovesi Luigi Bianchi, decise subito di lanciarsi in aiuto della città bombardata.

La sua idea era semplice: sparare qualche colpo verso il nemico e allontanarsi in tutta fretta, facendosi inseguire. La tattica, infatti, era quella di attirare il nemico verso Pelagosa, nelle Isole Tremiti, dove erano presenti altre navi italiane.

Il piano sembrò funzionare: dopo i primi colpi del Turbine, gli austriaci interruppero il cannoneggiamento su Barletta e si lanciarono alla rincorsa del nemico.

Agile e veloce, il cacciatorpediniere della Marina Regia navigò spedito verso i rinforzi. All’alba, però, in prossimità di Manfredonia, dovette rallentare, per non incagliarsi nelle difficili acque del Gargano e venne subito raggiunta da altre quattro navi austriache: il Tatra e il Csepel, di 900 tonnellate ciascuna e armate di 6 cannoni; il Lika e l’Orjen, più veloci e potenti.

Alle 5.48 le navi della marina imperiale aprirono il fuoco contro quella italiana: Barletta ormai era salva, ma, per il nostro incrociatore, cominciava una disperata battaglia.

Pur colpito in tutti i suoi punti vitali, il Turbine continuò a sparare fino all’esaurimento delle munizioni, poi, verso le 7.00 del mattino, ormai immobilizzata e con metà dell’equipaggio morto o ferito, il comandante rifiutò le proposte di resa degli austriaci e ordinò l’auto affondamento della sua nave, per evitarne la cattura.

Molti marinai italiani furono colpiti dai colpi del nemico, mentre erano raccolti a poppa; altri preferirono buttarsi in acqua. Gli austriaci mollarono la presa solo alla vista di altri cacciatorpedinieri finalmente accorsi dalle vicine Tremiti.

Alla fine della batraglia, vennero recuperati dal nare 35 naufraghi, compreso il comandante Bianchi, ferito ad un occhio.

Il coraggio degli ufficiali e dei marinai del Turbine li fa iscrivere di diritto nell’ideale elenco dei “prodi” di ogni tempo.

A loro, la città di Manfredonia ha dedicato una lapide commemorativa oggi situata in piazza Marconi. Le parole scolpite sul marmo recitano «In questo Golfo leggendario all’alba del XXIV Maggio 1915 mentre la nave Turbine eroicamente si sommergeva, Manfredonia prima fra tutte le città adriatiche sperimentò impavida la rabbia austriaca ed il fulgido valore Italico».

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Antonio Verardi
Antonio Verardi
Storico dell’Arte. Ha collaborato con il Museo Pecci di Prato. Ha svolto attività di ricerca per la Facoltà di Lettere e Architettura. E’ docente di letteratura italiana, storia e storia dell’arte. Perito ed esperto per la Camera di Commercio di Bari è iscritto all’Ordine Nazionale dei Giornalisti dal maggio 2011.

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